Olio su tela,
cm. 97x108
Pittore specializzato in nature morte di animali e selvaggina, secondo la tradizione napoletana di fine Seicento, fu seguace di Solimena. Il quadro, da collocarsi intorno al 1720, è molto vicino alle due nature morte del Museo di Capodimonte, Napoli, e con riferimenti diretti alle sue tele nella Pinacoteca D'Errico di Matera. Tipici segni distintivi del suo stile, in quadri come il nostro, sono il rapporto contrastato di ombra e luce, quest'ultima sempre in diagonale stagliata tra tronchi d'albero; inoltre, come precisa Galante, la mano dell'artista si individua nella scelta degli animali: anatre, tordi e beccacce, scalati e riversi col ventre verso l'alto a segnare le uniche note luminose sulla dominante tonalità dei bruni. De Dominici, suo primo biografo, gli riconosce la capacità di far emergere "con pochi lumi" le varie specie di uccelli posti sul terreno, alcuni raffigurati "ad ali aperte, accordate con erbe ed altri accidenti".
Bibliografia di riferimento:
De Dominici, Vite de pittori, 1742-47, III, p. 577;
R. Causa, La natura morta a Napoli, 1972, pp. 1054-55;
L. Salerno, La natura morta italiana, 1984, pp. 256-57;
L. Galante, La natura morta in Puglia e Basilicata, in La natura morta in Italia, Electa, Milano, 1997, tomo II, pp. 964-80.